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Cedolare, canoni concordati al 33%

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Il bilancio della tassa piatta: contribuenti quintuplicati dal 2011. A spingere gli affitti calmierati è stata la stabilizzazione dell’aliquota ridotta (10%), ora blindata anche dalla riforma fiscale​


12 luglio 2022
Dall’introduzione della cedolare secca, nel 2011, il numero di contribuenti che la applica è più che quintuplicato. Gli oltre 2,6 milioni di proprietari di case affittate che l’hanno scelta nelle dichiarazioni dei redditi del 2021 (anno d’imposta 2020) possono stare tranquilli, almeno per ora: la versione del Ddl delega sulla riforma fiscale varata dalla Camera accantona l’ipotesi di allinearla al primo scaglione Irpef (23%) o alla più alta tra le imposte sostitutive (26%). Il continuo successo della cedolare impone però di fare qualche riflessione su un aspetto spesso sottovalutato: la geografia della tassa piatta e il riparto tra affitti di mercato e locazioni a canone concordato.

La mappa delle scelte
Il gradimento dei proprietari cambia da una regione all’altra. In Basilicata e in Calabria il numero di contribuenti che scelgono la cedolare – e il relativo canone totale – superano, nell’annualità fiscale 2020, di oltre una volta e mezzo il loro livello del 2014. Si tratta certo di due regioni il cui peso sul totale è modesto, ma la rilevanza di ogni regione sulla cedolare riflette in buona misura la sua importanza demografica e nel mercato degli affitti.
In termini di evoluzione, invece, gli incrementi relativamente più consistenti si registrano nelle regioni del Sud e nelle Isole – dove il fenomeno era partito con maggiore lentezza – e i più bassi in quelle dell’Italia centrale, Marche escluse.
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Il primo anno, nel 2011, fu possibile applicare la tassa piatta solo per sette mesi e anche i due anni successivi furono relativamente di rodaggio, per l’instabilità dell’aliquota ridotta – rispetto al 21% ordinario – applicata ai canoni concordati (inizialmente il 19%, poi il 15%). Dal 2014, da quando l’aliquota ridotta è rimasta al 10%, il numero totale delle case cui è stata applicata la cedolare è circa raddoppiato: da quasi 1,5 milioni a oltre 2,8.
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I dati sulle locazioni, pubblicati dal 2015 dall’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) delle Entrate, evidenziano che i canoni medi per metro quadro dei contratti a canone concordato sono sempre inferiori di almeno un 10% rispetto a quelli dei contratti liberi. I ricavi netti dei due contratti sono pressoché uguali. Affittare a canone concordato, anziché a quello di mercato, alleggerisce il peso dell’affitto per gli inquilini, ma senza mettere le mani nelle tasche dei proprietari. I quali, però, in alcuni casi continuano a preferire i contratti a canone libero, nonostante la loro più lunga durata (4+4 anni contro 3+2). La conseguenza è che la quota delle locazioni a canone concordato resta minoritaria, anche se, tra il 2014 e il 2020, è passata da un quinto a un terzo.

Questa quota è lievitata in tutte le regioni. In Abruzzo, Lazio, Liguria e Umbria i contratti calmierati sono arrivati a essere uno su due. I proprietari lombardi, e valdostani, hanno invece conservato una certa ritrosia: nel 2014 ne sottoscrivevano circa uno su quindici e nel 2020 sono arrivati a uno su dieci.

Il bilancio per l’Erario
L’ammontare dei canoni tassati con la cedolare ha superato i 17 miliardi di euro nel 2020, con un gettito di 3 miliardi. Guardando il Bollettino delle entrate tributarie si vede un ulteriore incremento nel 2021, con un gettito annuo di 3,3 miliardi.
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Con questi numeri, resta attuale la discussione sul bilancio conclusivo della tassa piatta, in alternativa all’Irpef, per le casse dello Stato: finisce in perdita, oppure il Fisco fa pari e patta, o addirittura ci guadagna? Ci sono poche certezze, al riguardo. Ma, senza considerare gli effetti sull’Erario, è ragionevole pensare che la consistente crescita del numero di contratti di locazione assoggettati a cedolare sia dovuta, in parte, all’emersione di contratti in precedenza non registrati e, in parte, alla migrazione – dall’Irpef all’imposta più conveniente – di canoni già dichiarati.

Una conferma indiretta arriva dal raffronto tra l’incremento del numero di contribuenti che scelgono la cedolare e quello del numero complessivo delle case in affitto. Tra il 2014 e il 2019 (ultimo anno per il quale il dato è disponibile) i primi sono aumentati di 1,25 milioni e le seconde di meno di 800mila. La percentuale di locatori i cui canoni sono tassati con cedolare è cresciuta di oltre 20 punti percentuali. Nel 2019 ha superato il 75% del totale delle case affittate; nel Lazio siamo addirittura al 100% e in altre regioni a cavallo del 90% (Marche, Umbria, Toscana per esempio). Certo: un locatore può avere più case, e due possono averne una in comproprietà, ma i dati restano assolutamente significativi.

​FONTE: IlSole24Ore

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