Pannelli fotovoltaici e cappotti termici devono rispettare standard elevati e regole tecniche: gli ultimi eventi sono di gravità eccezionale ma va sempre valutata la qualità dei prodotti e la correttezza dell’installazione
27 luglio 2023
Cappotti termici danneggiati, tetti scoperchiati, pannelli fotovoltaici che non resistono all’impatto di chicchi di grandine dalla dimensione di limoni e ponteggi divelti dalla forza del vento.
I cantieri del superbonus, che avanzano in tutta Italia con l’obiettivo di centrare le prossime imminenti scadenze (la prima, relativa a villette e abitazioni unifamiliari, è in calendario già a fine settembre), hanno affrontato in questi giorni una prova durissima: i fenomeni atmosferici legati al cambiamento climatico hanno spesso distrutto opere già realizzate o in fase di posa. Adesso servirà più tempo per completare i lavori. Ma serve anche capire quali sono gli standard tecnici che rispettano i diversi prodotti e se, in qualche caso, ci sono delle responsabilità.
I pannelli fotovoltaici
Su questo punto Alberto Pinori, presidente di Anie Rinnovabili (la Federazione delle imprese elettrotecniche ed elettroniche) è molto chiaro nel parlare di pannelli fotovoltaici: «La situazione che si è creata questa volta è fuori da ogni ordinarietà. È un evento straordinario, al quale è difficile far fronte, anche con prodotti di qualità elevata e con l’installazione di un’impresa che lavora a regola d’arte. Posso parlare del mio caso: a Desenzano mi è stato devastato un impianto fotovoltaico, ma la grandine ha spaccato anche tutte le tegole del tetto». A una grandinata ordinaria, invece, i pannelli sono in grado di resistere: «Ho assistito personalmente a test sui pannelli che mi hanno impressionato. Viene legato su una corda un peso notevole o sparata una palla che colpisce il pannello a 80 km orari; a queste sollecitazioni il pannello deve resistere. Quindi, i prodotti in commercio in Italia sono fatti per resistere alla grandine».
I pannelli, che solitamente hanno uno spessore compreso tra i tre e i quattro millimetri, sono composti da uno strato di vetro temperato, da due fogli di materiale plastico che incapsulano le celle fotovoltaiche e dal “backsheet”, cioè la parte posteriore del pannello, ad alta resistenza: «I pannelli sono già oggi molto resistenti - aggiunge Pinori -. Se anche il vetro fosse molto più spesso, non sarebbe tanto più resistente paradossalmente, perché diventerebbe meno elastico».
Oltre alla qualità dei prodotti è importante anche l’installazione. «In Italia non c’è un patentino per le imprese che installano questi impianti - spiega - Gli installatori hanno comunque il dovere di posare i pannelli in modo che anche un forte vento non li porti via. Di norma, l’impianto, perché sia correttamente installato, deve essere, come miglior posizione, a 30 gradi di inclinazione a sud. Non tutti i tetti lo consentono, per cui bisogna fare i conti con la situazione che le imprese si trovano davanti».
I cantieri del superbonus, che avanzano in tutta Italia con l’obiettivo di centrare le prossime imminenti scadenze (la prima, relativa a villette e abitazioni unifamiliari, è in calendario già a fine settembre), hanno affrontato in questi giorni una prova durissima: i fenomeni atmosferici legati al cambiamento climatico hanno spesso distrutto opere già realizzate o in fase di posa. Adesso servirà più tempo per completare i lavori. Ma serve anche capire quali sono gli standard tecnici che rispettano i diversi prodotti e se, in qualche caso, ci sono delle responsabilità.
I pannelli fotovoltaici
Su questo punto Alberto Pinori, presidente di Anie Rinnovabili (la Federazione delle imprese elettrotecniche ed elettroniche) è molto chiaro nel parlare di pannelli fotovoltaici: «La situazione che si è creata questa volta è fuori da ogni ordinarietà. È un evento straordinario, al quale è difficile far fronte, anche con prodotti di qualità elevata e con l’installazione di un’impresa che lavora a regola d’arte. Posso parlare del mio caso: a Desenzano mi è stato devastato un impianto fotovoltaico, ma la grandine ha spaccato anche tutte le tegole del tetto». A una grandinata ordinaria, invece, i pannelli sono in grado di resistere: «Ho assistito personalmente a test sui pannelli che mi hanno impressionato. Viene legato su una corda un peso notevole o sparata una palla che colpisce il pannello a 80 km orari; a queste sollecitazioni il pannello deve resistere. Quindi, i prodotti in commercio in Italia sono fatti per resistere alla grandine».
I pannelli, che solitamente hanno uno spessore compreso tra i tre e i quattro millimetri, sono composti da uno strato di vetro temperato, da due fogli di materiale plastico che incapsulano le celle fotovoltaiche e dal “backsheet”, cioè la parte posteriore del pannello, ad alta resistenza: «I pannelli sono già oggi molto resistenti - aggiunge Pinori -. Se anche il vetro fosse molto più spesso, non sarebbe tanto più resistente paradossalmente, perché diventerebbe meno elastico».
Oltre alla qualità dei prodotti è importante anche l’installazione. «In Italia non c’è un patentino per le imprese che installano questi impianti - spiega - Gli installatori hanno comunque il dovere di posare i pannelli in modo che anche un forte vento non li porti via. Di norma, l’impianto, perché sia correttamente installato, deve essere, come miglior posizione, a 30 gradi di inclinazione a sud. Non tutti i tetti lo consentono, per cui bisogna fare i conti con la situazione che le imprese si trovano davanti».
I cappotti termici
Passiamo ai cappotti termici. «Un sistema a cappotto realizzato secondo rigorosi criteri di qualità è in grado di resistere ad aggressioni anche molto violente», spiega Federico Tedeschi, presidente della Commissione tecnica di Cortexa, associazione che riunisce aziende specializzate in questo settore.
A fare la differenza è la certificazione, che è basata su test e prove molto severi e tiene conto di manifestazioni inaspettate e violente e dei cambiamenti climatici. «Ad esempio, la prova in camera climatica porta i sistemi a temperature oltre i 70 °C, con cicli caldo-freddo che li fanno scendere in pochi minuti sottozero, cicli di bagnatura seguiti da cicli di raffreddamento che li fanno congelare, fino a –20°C, e poi scongelare. A conclusione di tali test non devono verificarsi né crepe né distacchi. Le prove sui collanti e sull’adesione dei vari strati prevedono resistenze dell’ordine di molte tonnellate al metro quadrato, oltre ogni possibile sollecitazione provocata da un evento naturale», dice ancora Tedeschi.
Qual è, allora, il problema che porta agli incidenti di questi giorni? Esistono in commercio materiali che non rispettano gli standard più alti e installatori non certificati? «Premettiamo che siamo di fronte ad eventi eccezionali che hanno provocato danni ingenti anche a lamiere, strutture metalliche, autoveicoli e infrastrutture. Parlando di cappotti, purtroppo sì – prosegue Tedeschi - in Italia molti cappotti vengono “assemblati” da imprese senza che siano forniti come sistema da un unico produttore. Ciò significa che i componenti non sono stati testati in combinazione tra loro e che quindi non può esserci un garante del sistema, come nel caso di kit con certificazione Eta (European technical approval) e marcatura Ce».
Ma il prodotto non fa tutto. «Serve un progettista che sia esperto e conosca la norma Uni TR 11715, che può anche incrementare gli standard del sistema, in modo da realizzare cappotti resistenti anche agli eventi eccezionali come quelli di questi giorni, e un posatore con competenze certificate secondo Uni 11716, quindi esperto». In Italia oggi questi posatori sono pochissimi, perché la certificazione è volontaria.
I ponteggi
Infine, ci sono i ponteggi, di cui parla il direttore di Unicmi (Unione nazionale delle industrie delle costruzioni metalliche dell’involucro e dei serramenti), Pietro Gimelli: «I ponteggi devono essere corredati dal libretto di autorizzazione rilasciato dal ministero del Lavoro, che deve essere sempre presente in cantiere. I materiali utilizzati devono avere l’identica marchiatura presente sul libretto e installati o secondo gli schemi contenuti nello stesso, o secondo il progetto realizzato per lo specifico intervento». Inoltre, il ponteggio deve essere installato «da soggetti in possesso dell’abilitazione prevista dal Dlgs 81 del 2008 e deve essere indicato un responsabile del cantiere».
Ci sono, poi, le verifiche da effettuare sui materiali che costituiscono il ponteggio, prima di ogni installazione, e quelle da effettuare durante l’uso del ponteggio (e comunque almeno ogni mese), da documentare tramite un verbale.
Questo, in teoria. Perché nella pratica «i controlli sono pochi – dice Gimelli - e chi li effettua non riceve sufficiente formazione.
Spesso s’interviene solo a seguito di un incidente. Per cui sul mercato possiamo trovare prodotti non corredati dalla loro autorizzazione ministeriale (per questo abbiamo parlato di rispondenza dei marchi riportati nell’autorizzazione con i materiali) e spesso troviamo materiali vetusti o con uno stato di difficile valutazione dell’affidabilità (mancanza di protezione superficiale, ruggine, componenti compromessi, tavole con ganci deformati, mancanza di dispositivi di blocco delle tavole)». A volte mancano i progetti o ci sono esecuzioni non conformi al progetto. E tutto questo favorisce gli incidenti.
FONTE: IlSole24Ore
Passiamo ai cappotti termici. «Un sistema a cappotto realizzato secondo rigorosi criteri di qualità è in grado di resistere ad aggressioni anche molto violente», spiega Federico Tedeschi, presidente della Commissione tecnica di Cortexa, associazione che riunisce aziende specializzate in questo settore.
A fare la differenza è la certificazione, che è basata su test e prove molto severi e tiene conto di manifestazioni inaspettate e violente e dei cambiamenti climatici. «Ad esempio, la prova in camera climatica porta i sistemi a temperature oltre i 70 °C, con cicli caldo-freddo che li fanno scendere in pochi minuti sottozero, cicli di bagnatura seguiti da cicli di raffreddamento che li fanno congelare, fino a –20°C, e poi scongelare. A conclusione di tali test non devono verificarsi né crepe né distacchi. Le prove sui collanti e sull’adesione dei vari strati prevedono resistenze dell’ordine di molte tonnellate al metro quadrato, oltre ogni possibile sollecitazione provocata da un evento naturale», dice ancora Tedeschi.
Qual è, allora, il problema che porta agli incidenti di questi giorni? Esistono in commercio materiali che non rispettano gli standard più alti e installatori non certificati? «Premettiamo che siamo di fronte ad eventi eccezionali che hanno provocato danni ingenti anche a lamiere, strutture metalliche, autoveicoli e infrastrutture. Parlando di cappotti, purtroppo sì – prosegue Tedeschi - in Italia molti cappotti vengono “assemblati” da imprese senza che siano forniti come sistema da un unico produttore. Ciò significa che i componenti non sono stati testati in combinazione tra loro e che quindi non può esserci un garante del sistema, come nel caso di kit con certificazione Eta (European technical approval) e marcatura Ce».
Ma il prodotto non fa tutto. «Serve un progettista che sia esperto e conosca la norma Uni TR 11715, che può anche incrementare gli standard del sistema, in modo da realizzare cappotti resistenti anche agli eventi eccezionali come quelli di questi giorni, e un posatore con competenze certificate secondo Uni 11716, quindi esperto». In Italia oggi questi posatori sono pochissimi, perché la certificazione è volontaria.
I ponteggi
Infine, ci sono i ponteggi, di cui parla il direttore di Unicmi (Unione nazionale delle industrie delle costruzioni metalliche dell’involucro e dei serramenti), Pietro Gimelli: «I ponteggi devono essere corredati dal libretto di autorizzazione rilasciato dal ministero del Lavoro, che deve essere sempre presente in cantiere. I materiali utilizzati devono avere l’identica marchiatura presente sul libretto e installati o secondo gli schemi contenuti nello stesso, o secondo il progetto realizzato per lo specifico intervento». Inoltre, il ponteggio deve essere installato «da soggetti in possesso dell’abilitazione prevista dal Dlgs 81 del 2008 e deve essere indicato un responsabile del cantiere».
Ci sono, poi, le verifiche da effettuare sui materiali che costituiscono il ponteggio, prima di ogni installazione, e quelle da effettuare durante l’uso del ponteggio (e comunque almeno ogni mese), da documentare tramite un verbale.
Questo, in teoria. Perché nella pratica «i controlli sono pochi – dice Gimelli - e chi li effettua non riceve sufficiente formazione.
Spesso s’interviene solo a seguito di un incidente. Per cui sul mercato possiamo trovare prodotti non corredati dalla loro autorizzazione ministeriale (per questo abbiamo parlato di rispondenza dei marchi riportati nell’autorizzazione con i materiali) e spesso troviamo materiali vetusti o con uno stato di difficile valutazione dell’affidabilità (mancanza di protezione superficiale, ruggine, componenti compromessi, tavole con ganci deformati, mancanza di dispositivi di blocco delle tavole)». A volte mancano i progetti o ci sono esecuzioni non conformi al progetto. E tutto questo favorisce gli incidenti.
FONTE: IlSole24Ore
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