La Corte di Cassazione si è espressa sul non assoggettamento della realizzazione di un soppalco al previo rilascio permesso di costruire, trattandosi di opera interna. Tuttavia Preture e Corti d’Appello si dividono sul tema
21 ottobre 2022
Il soppalco viene definito dal Regolamento edilizio tipo adottato il 20 ottobre 2016 come “partizione orizzontale interna praticabile, ottenuta con la parziale interposizione di una struttura portante orizzontale in uno spazio chiuso”.
La Corte di Cassazione si è espressa sul non assoggettamento della realizzazione di un soppalco al previo rilascio permesso di costruire, trattandosi di opera interna (vedi Cass. pen., sez. II, 1/4/1994, Vicini e Cass. pen., sez. III, 16/2/1990, De Pau).
Alla medesima conclusione è pervenuto il giudice amministrativo ma ciò non toglie che ancora diverse, fra Preture e Corti d’Appello, continuino a ricostruire giuridicamente i soppalchi come opere necessitanti dell’atto concessorio, soprattutto quando consentano l’aumento della superficie calpestabile.
Necessario il permesso se paragonato ad un intervento di ristrutturazione edilizia
In particolare la Cassazione penale (sez. III, 28/1/2007, n. 2881) ha espresso, in questa materia, il seguente principio di diritto: “l’esecuzione di un soppalco all’interno di una unità immobiliare, realizzato attraverso la divisione in altezza di un vano a scopo di ottenere una duplice utilizzazione abitativa, pure se non realizzi un mutamento di destinazione d’uso, costituisce intervento di ristrutturazione edilizia che richiede il permesso di costruire o, in alternativa, la denunzia di inizio attività, ai sensi dell’art. 22, comma 3, t.u. 380/2001. Detto intervento, infatti, comporta un incremento della superficie utile calpestabile che, a norma dell’art. 10, comma 1, lett. c) dello stesso t.u. impone l’applicazione del regime di alternatività indipendentemente da una contemporanea modifica della sagoma o del volume”.
Anche la più recente giurisprudenza amministrativa ha ribadito che la realizzazione di un soppalco debba essere ricondotta nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, dal momento che determina una modifica della superficie utile dell’appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico (v. T.A.R. Veneto, n. 1363/201; T.A.R. Sardegna, n. 952/2011). Da ultimo la sentenza del Consiglio di Stato n. 4166 del 9/7/2018 definisce in quali casi la realizzazione di un soppalco non richiede il rilascio di un permesso di costruire.
La Corte di Cassazione si è espressa sul non assoggettamento della realizzazione di un soppalco al previo rilascio permesso di costruire, trattandosi di opera interna (vedi Cass. pen., sez. II, 1/4/1994, Vicini e Cass. pen., sez. III, 16/2/1990, De Pau).
Alla medesima conclusione è pervenuto il giudice amministrativo ma ciò non toglie che ancora diverse, fra Preture e Corti d’Appello, continuino a ricostruire giuridicamente i soppalchi come opere necessitanti dell’atto concessorio, soprattutto quando consentano l’aumento della superficie calpestabile.
Necessario il permesso se paragonato ad un intervento di ristrutturazione edilizia
In particolare la Cassazione penale (sez. III, 28/1/2007, n. 2881) ha espresso, in questa materia, il seguente principio di diritto: “l’esecuzione di un soppalco all’interno di una unità immobiliare, realizzato attraverso la divisione in altezza di un vano a scopo di ottenere una duplice utilizzazione abitativa, pure se non realizzi un mutamento di destinazione d’uso, costituisce intervento di ristrutturazione edilizia che richiede il permesso di costruire o, in alternativa, la denunzia di inizio attività, ai sensi dell’art. 22, comma 3, t.u. 380/2001. Detto intervento, infatti, comporta un incremento della superficie utile calpestabile che, a norma dell’art. 10, comma 1, lett. c) dello stesso t.u. impone l’applicazione del regime di alternatività indipendentemente da una contemporanea modifica della sagoma o del volume”.
Anche la più recente giurisprudenza amministrativa ha ribadito che la realizzazione di un soppalco debba essere ricondotta nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia, dal momento che determina una modifica della superficie utile dell’appartamento, con conseguente aggravio del carico urbanistico (v. T.A.R. Veneto, n. 1363/201; T.A.R. Sardegna, n. 952/2011). Da ultimo la sentenza del Consiglio di Stato n. 4166 del 9/7/2018 definisce in quali casi la realizzazione di un soppalco non richiede il rilascio di un permesso di costruire.
Soppalco: semplice opera interna?
Qualora si neghi al soppalco la natura di nuovo organismo edilizio emergono, tuttavia, dei seri dubbi sulla sua configurazione con riferimento all’atto che ne consenta la realizzazione.
Sull’argomento vi erano, sostanzialmente, due ipotesi. Per una prima tesi, sposata dalla Cassazione penale e dal giudice amministrativo che si sono già citati, si trattava di semplice opera interna, soggetta alla relazione asseverata di cui all’articolo 26 della legge n. 47/85.
Tuttavia non era facilmente superabile il dato normativo il quale, in tale ipotesi, accordava il regime semplificato alle opere interne a condizione che non comportassero, fra l’altro, l’aumento delle superfici utili il quale costituiva un effetto indubitabile dell’opera in questione. Aderendo a tale impostazione la realizzazione del soppalco non calpestabile potrebbe assimilarsi all’opera interna di ristrutturazione edilizia minore che non comporti modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechi pregiudizio alla statica dell’immobile.
Si ricordano, tuttavia, le limitazioni di applicazione del procedimento per segnalazione certificata d’inizio attività che sono costituite dal fatto che gli immobili interessati dall’intervento edilizio non devono essere vincolati essendo in caso contrario necessario il rilascio del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. Per tali opere interne è aggiunta una limitazione in più. Difatti oltre ai già riferiti limiti di applicazione del procedimento per segnalazione certificata si aggiunge il fatto che, qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia inserito all’interno di una zona omogenea di tipo A (centro storico) il soppalco si potrà realizzare soltanto a condizione che non muti la precedente destinazione d’uso dell’immobile, che viene altrimenti a configurarsi come intervento di ristrutturazione subordinato a super s.c.i.a. in alternativa al permesso di costruire.
Qualora si neghi al soppalco la natura di nuovo organismo edilizio emergono, tuttavia, dei seri dubbi sulla sua configurazione con riferimento all’atto che ne consenta la realizzazione.
Sull’argomento vi erano, sostanzialmente, due ipotesi. Per una prima tesi, sposata dalla Cassazione penale e dal giudice amministrativo che si sono già citati, si trattava di semplice opera interna, soggetta alla relazione asseverata di cui all’articolo 26 della legge n. 47/85.
Tuttavia non era facilmente superabile il dato normativo il quale, in tale ipotesi, accordava il regime semplificato alle opere interne a condizione che non comportassero, fra l’altro, l’aumento delle superfici utili il quale costituiva un effetto indubitabile dell’opera in questione. Aderendo a tale impostazione la realizzazione del soppalco non calpestabile potrebbe assimilarsi all’opera interna di ristrutturazione edilizia minore che non comporti modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechi pregiudizio alla statica dell’immobile.
Si ricordano, tuttavia, le limitazioni di applicazione del procedimento per segnalazione certificata d’inizio attività che sono costituite dal fatto che gli immobili interessati dall’intervento edilizio non devono essere vincolati essendo in caso contrario necessario il rilascio del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. Per tali opere interne è aggiunta una limitazione in più. Difatti oltre ai già riferiti limiti di applicazione del procedimento per segnalazione certificata si aggiunge il fatto che, qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia inserito all’interno di una zona omogenea di tipo A (centro storico) il soppalco si potrà realizzare soltanto a condizione che non muti la precedente destinazione d’uso dell’immobile, che viene altrimenti a configurarsi come intervento di ristrutturazione subordinato a super s.c.i.a. in alternativa al permesso di costruire.
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Sanzioni e sanabilità
Le sanzioni sono, ovviamente, variabili a seconda della ricostruzione giuridica adottata fra quelle analizzate. Pertanto, se configurata come opera soggetta a permesso di costruire, la sua realizzazione senza titolo comporterà l’applicazione della sanzione penale prevista dall’art. 44 del d.P.R. 380/2001.
Qualora tale intervento costituisca un abuso soltanto formale (mera assenza di titolo) sarà sanabile mediante il rilascio di un permesso in sanatoria alle condizioni di cui all’art. 36 d.P.R. 380/2001. Nel caso in cui si ricostruisca la fattispecie come soggetta a segnalazione certificata d’inizio attività la sanzione sarà amministrativa e, precisamente, pari al doppio dell’aumento del valore venale e, comunque, in misura non inferiore a euro 516.
L’art. 136 del D.P.R. 380/2001 ha espressamente abrogato l’art. 26 della L. 47/85 il quale prevedeva per le opere interne il procedimento per relazione asseverata e la sanzione, nel caso in cui questa non fosse stata debitamente inviata, del pagamento della somma pari ad un terzo del doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile dovuto alla realizzazione dell’opera interna e, comunque, non inferiore a lire 166.000.
FONTE: Ediltecnico
Le sanzioni sono, ovviamente, variabili a seconda della ricostruzione giuridica adottata fra quelle analizzate. Pertanto, se configurata come opera soggetta a permesso di costruire, la sua realizzazione senza titolo comporterà l’applicazione della sanzione penale prevista dall’art. 44 del d.P.R. 380/2001.
Qualora tale intervento costituisca un abuso soltanto formale (mera assenza di titolo) sarà sanabile mediante il rilascio di un permesso in sanatoria alle condizioni di cui all’art. 36 d.P.R. 380/2001. Nel caso in cui si ricostruisca la fattispecie come soggetta a segnalazione certificata d’inizio attività la sanzione sarà amministrativa e, precisamente, pari al doppio dell’aumento del valore venale e, comunque, in misura non inferiore a euro 516.
L’art. 136 del D.P.R. 380/2001 ha espressamente abrogato l’art. 26 della L. 47/85 il quale prevedeva per le opere interne il procedimento per relazione asseverata e la sanzione, nel caso in cui questa non fosse stata debitamente inviata, del pagamento della somma pari ad un terzo del doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile dovuto alla realizzazione dell’opera interna e, comunque, non inferiore a lire 166.000.
FONTE: Ediltecnico